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Un atto d’amore per una quotidiana resurrezione

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 UN ATTO D’AMORE PER UNA QUOTIDIANA RESURREZIONE

 

(Iole Chessa Olivares “NEL FINITO… MAI FINITO”)

 

“Nel finito… Mai finito” di Iole Chessa Olivares è un lavoro complesso e articolato, composto da 67 liriche che vanno a disegnare 7 distinte sezioni. Sette come le “porte della conoscenza”, suggerisce nella sua preziosa prefazione Plinio Perilli, ma questo libro è molte cose insieme: un atto d’amore per ogni aspetto della vita, senza risparmiarci nulla e passando quindi attraverso la morte, il dolore, la gioia e l’amore; un viaggio appassionato, a tratti labirintico, ma spesso disteso e attento a non perdere uno sguardo sintonizzato che sa essere visione d’insieme; una quotidiana resurrezione, anche laica, quando insegna a non affossarsi, a non fermarsi mai alla fase del colpo subìto o del pianto e quando, splendido, educa all’oltre.

Il coraggioso viaggio dell’artista si apre con versi immediatamente chiari che risuonano come dichiarazione di poetica: “Sul cancello del tempo / crepuscolo e aurora / mai scrutati abbastanza / mai finiscono di sanguinare / nei trapassi di luce / nel ballo delle ombre”. Sibila qualcosa di sacro e prezioso “su queste braci”. Siamo, da subito, introdotti ad un evidente rito di purificazione.

La prima sezione, “Sospeso d’azzurro”, si apre con una lirica quasi metafisica dai versi netti e sfumati (“al laccio della corrente / la foglia sazia d’acque / rifila il fiume nell’aria”). Si procede in “questo andare / senza riparo” su rotaie, tra le agavi, tra l’erba arsa. C’è una grande vena da paesaggista: “oltre i cespugli / signori della collina / tra qualche spazio / aperto all’erranza / un belato di pena e di rimedio”, con un gregge chino sull’erba e, soprattutto, con pennellate impressionistiche di versi a tratti pascoliani, come nella splendida “Nel finito… Mai finito”, che fornisce il titolo all’intera raccolta (“Un lampo / l’accendersi di trame / tracce mormorii / grigiori fossili / nel finito… Mai finito”). Transiti e attese nel sibilo del vento che accompagna il naturalissimo viaggio dell’uomo. E poi la toccante “vanità innocente” dell’airone-poeta che “prova a inventare / un sospeso d’azzurro”. Iole Chessa Olivares è poetessa che ricama (“ogni trina una memoria”) mentre cielo e terra “parlano in sordina”.

Il singhiozzo della mente” è la seconda sezione, che sembra aprirsi nel segno di una “nuova perdita” al cospetto della ancestrale costanza del fuoco. “Tra parole dormienti / fuggevoli accordi negati / alleanze randage” la sfida è “sconfinare” nella ricerca dei pezzi sparsi del senso, oltre i singhiozzi della mente, urtando “l’angelo / lungo il frusciare delle piume / sul confine degli addii”, mentre “una prigione di fantasmi” arranca nell’aria “ogni volta… naufragando”. Nulla è come sembra… “Dimenticata una pietra / si veste di muschio” e lascia respirare la semplicità disarmante di una Natura che ci sovrasta, quella stessa semplicità e discrezione che contraddistinguono il poeta (“Mi disperdo / in ogni contrada / come avanzo / di tempo in naufragio / e nessuna epigrafe m’accoglie. // Nell’abbandono / nei traguardi perduti / lì sono centro / lì sono casa / (…) / E contemplo aurore / senza disturbare”). Struggenti i versi dedicati a Donatella Colasanti, della assurda ed atroce “strage del Circeo”, “un velo d’anima / a brandelli / esangue / tra toghe e sentenze”, al cospetto disarmato di “un mare nero / dall’insonne vertigine”. Tra inni laici all’amore e al potere salvifico della poesia (“- IL FIORE - / dimora di sola luce”); tra provvisori sorrisi, “discordante lo spirito – dell’altrove - / non naufraga / nei rivoli accesi dell’inganno”, Iole Chessa Olivares riconosce la radice dell’infinità sempre nella finitezza.

La terza sezione è “Il richiamo all’altro” e si apre con l’immagine enigmatica del “burattino / rigido”, arlecchino o clown senza tempo, oppure metafisico manichino al cospetto costante di uno sfuggente burattinaio. Prosegue con la suggestiva dedica a Samantha Cristoforetti, prima astronauta italiana, vissuta per duecento giorni nello spazio, in “una – camera con vista - / su alba e tramonto” dalla quale l’Io può specchiarsi nel cielo e percepire “solo stupore / solo stelle / infinitamente vive / eterne randage”. Si viaggia “nelle possibilità infinite” e, proprio in quest’ottica privilegiata, si approda ad un’indispensabile “attenzione – all’altro –“, alla necessità assoluta della memoria che s’affaccia “a strappi lucenti / tocca radici e vertice / svela un’unica pelle / fuori dai limiti / pronta a farsi anima”. Lo sguardo è sempre lucido e ispirato, “da un crepuscolo all’altro” “inseguendo fuggendo lusinghe”, mentre “il seme dell’epifania perfetta / mai germoglia”. Quello della poetessa è un “cuore sangue-fango / sospeso / a disperdersi nel tempo” “nel mistero di chi siamo / l’uno per l’altro”. Bellissima, nel suo ossimoro anche spirituale, “Onde di memoria”: “Fantasmi uniti da un assolo / quella foto di famiglia / vaga sospensione / di volti indimenticati. // E c’è un diamante / che a spirale / modula l’accordo / è lo stupore / di ogni volto // brilla – mette in fuga - / il cauto silenzio di una vita / uscita di scena / ora memoria viva / attenta a trascinare l’insieme / a esistere senza confronti molesti // al di là nel contagio // e… trafigge”. Si approda ad un “NOI”, in frantumi, che cerca di opporsi alle derive della storia; “oltre il respiro dell’odio” si punta a recuperare l’innocenza perduta, difatti “chiede un nuovo inizio / il muto esistere / del grande arcobaleno” e si affronta il dramma dei bambini-soldato, si prendono di petto tutte le guerre e tutti gli atti di terrorismo, si sfiora senza alcuna retorica ogni tragedia.

In sillabe regina” è la quarta sezione e ci si continua a muovere nel solco della Parola (“Quando s’incontra la parola giusta / si ceda il passo”), si attraversa il tempo, perché un libro “mette in scena / favole, sapienze / giochi di riflessi / oltre le ciglia / azzardi di speranze / per l’ultima babele”. La “parola intima” della poesia “in filigrana / prende vita”. Acusticamente e visivamente tangibile la musica di un violino “Dove l’arco / esalta l’estremo acuto / lì, in limite di brace”. “A quando / la parola in sintonia con l’acuto / nuda illimitata in volto?”, recita nella successiva “Fiore di ritorno”, quasi auspicando un prezioso auto-incontro; tutto accade in “una nuova misteriosa odissea” nella quale l’attenzione, per non vagare, cerca la scrittura, per poi approdare “Nel cerchio dei suoni”, dove “a dispetto di un brontolio / vano altezzoso / s’adagia sul labbro / la parola bambina”. Si percepisce la distanza in queste poesie, ma anche l’attesa, la contiguità, la presenza. Si tratta di costanti ed eterne traiettorie di avvicinamento. C’è sicuramente anche l’innocenza, meglio se impersonata da una pittrice in erba di “nonno poeta”, tra le principali caratteristiche della Olivares. C’è il “sangue” come elemento vitalizzante che “vive / la distanza dallo zenith / senza lacrimare”. C’è un elemento femminile che scorre quasi sottopelle, che eccede “l’arabesco sgranato / dalle tante sfioriture / il cristallo salato dell’occhio”, che allude e rimanda alle molte “lune-maree / disattente / al sì dell’Angelo”. La quinta sezione ha il titolo di “Nel limbo che preme” e si apre con un’impronta quasi mistica (“D’acqua un sorso / prima che la muta del mondo / saldi / le fessure dell’anima / nel sepolcreto dei vivi”, mentre “un’apposita siepe / s’accomoda in collina / a suo capriccio / intriga brucia rimorsi / nel limbo che preme”). Sono liriche ispiratissime e taglienti, da maneggiare con cura, come “l’ago che cuce / il molto e il poco /trascina simboli, miti / votati alla deriva / porta nel filo / sanguinanti icone / di – Cristo morente –“; richiami di pace, ma anche attenzione privilegiata alle voci più sintonizzate con la Natura, quelle di bambini o persino di animali. C’è una sottile resistenza alla voce, un ostinato non volersi piegare al tempo, ma anche un’indubbia capacità di rivitalizzare parole trite, illuminandole di luce nuova (“l’ahimè segreto / preme / in ciò che passa e muore”) e ripoeticizzandole. Si è chiamati, da lettori, ad affrontare il pericoloso “volto della verità”, con incipit bellissimi e sorprendenti: “Quel volto contiene / risposte già date”; “solo nel suo labirinto / là dove più preme / vive il tutto e il sacro”. La Olivares è anche autrice che riesce a sublimarsi in alcune piccole miniature liriche, dove il fiocco di neve “s’annerisce / e vive”, che riesce ad esaltare una laica moralità, progettando libertà, regalando versi quasi scolpiti (“Impreparati al risveglio / sussultiamo alle sequenze / che riportano a noi / e ai tanti assenti” o ancora “Nella memoria / noi / ombra troppo vasta / in una prigione / di frammenti minimi”; poesia che chiama ad andare “oltre / ogni oltre”. In questi versi troviamo una “illimitata confidenza / con il cielo / (…) / pupilla tesa / al brivido che perdura”, un’impronta di fede ispirata dalla mediazione di Maria (“l’eco di un soffio / semini / nel nostro deserto / per un verticale crescendo / aperto al “noi” dell’amore”). “Roma nello sguardo” è la successiva sezione, dove la città eterna “Appare velata / dolente / nell’eroismo quotidiano / una sindone d’oro e sangue / comunque indelebile”, che appare più vera “nello sguardo confidente”. Uno sguardo d’affetto, senza nostalgie (“In questo spicchio di mondo / quinte mutevoli / macerie, ferite mal chiuse / fatali impermanenze”, perché Roma “anche nelle rovine / si fa altro”) e senza rimpianti, perché “soccorre utopie / lontane dai rimpianti / lascia una provvisoria linfa / per un diverso respiro / nella vastità della sua eco”. Chiude il libro la sezione “Il mio mare”, che torna a strizzare l’occhio ad un vero e proprio - luogo dell’anima – e “cerca l’isola felice / altrove / d’ogni speranza”. Si respira la complicità della marea che “insiste a portare / valori lontani / tarsie preziose / rimaste indietro / nella polvere”. C’è un mare familiare “nelle rime del vento / violato”. E’ un Mediterraneo nel quale si è chiamati a spostarsi, come novelli Ulisse, con l’opportunità di scoprire qualche “fiore” inaspettato, quando “Ignora confronti / GENOVA / bucaneve del mare / appena fuori dall’acqua”, oppure quando “Ferite invisibili / avanzano tra le scene del mondo / forse un oracolo-conchiglia”, tra “approdi di salvezza” e “piccole illusorie amenità”. Un mare protagonista assoluto, attento e partecipe, perché “Il mare / mai tace / accoglie sedimenta ogni trama / (…) / docile al “perenne” / si fa conchiglia”. Siamo, volenti o nolenti, chiamati e coinvolti in un naufragio che nasce da un’assenza, da una profonda e costante ricerca di sé. “Eppure, del tutto non si estingue / la devozione a esserci”, a resistere tra queste pur morenti cose e a tenere vivo “il richiamo / d’una smisurata altezza / mai troppo lontana”. Un mare che “Pulsa / apre e chiude conchiglie / chiede di esserci comunque / non solo sulla riva / ma nel cuore del cuore”, che attraversa la tragedia dell’alluvione in Sardegna del 2013, mentre “nuovi e antichi passi / sfiorano / la terra rapita dall’acqua / nuove e antiche voci / ammutoliscono sfinite / dalla denuncia dei misfatti”1. Un mare che esalta “il richiamo di un’isola”, che richiama nell’eco “in rivoli infiniti // senza vestali”. Iole Chessa Olivares riesce a fotografare il Garibaldi, vecchio leone sfinito, sorpreso ad ammirare quello splendido mare, “Occhio di luce / il tuo lampo solitario / di veglia in veglia / elude confini”. Sull’estrema riva di queste pagine “Pare il mondo / una minuzia di mare / trappola all’onda / di mescolate lacrime / che non si fa raggiungere / un nulla / con un destino risolto / masticando sabbia”. E in questa lingua di sabbia, “detriti di cielo”, come in un evocato ed invocato approdo, ci sentiamo avvolti dall’acqua e coinvolti in “un respiro verde-celeste / sacro / a ogni distanza”. Un respiro lungo, sintonizzato con il ritmo incalzante del mondo circostante, che ci accompagna, anche a ritroso, a ripercorrere il viaggio sempre nuovo “Nel finito… Mai finito”. Un atto di quotidiana resurrezione e, soprattutto, di poesia come amore infinito.

                                              

DAVIDE TOFFOLI

 

I versi di “Nella ruota del tempo” risultano in questa pubblicazione, seppur con pochi ritocchi, sensibilmente più essenziali, toccanti ed efficaci rispetto alla versione presentata in AA.VV. “Tutti siamo l’isola”, Tracce per la meta Edizioni, 2013. 

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